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22/08/2008

Autore: RedHunter (11:32 pm)
Oggi è proprio una di quelle mattine... L'ho capito sin dall'alba, quando qualche stronzo, uno dei tanti che affollano questo strano mondo, ha sbagliato numero e per una di quelle strane coincidenze, che mi convincono sulla fortuna che aleggia su di me, ha fatto squillare il mio telefono... Nulla di strano, direte. Nulla di terribile, penserete. Se non fosse per il fatto che è seccante, a dir poco, a non dir peggio, essere svegliati da qualcuno che non conosci, che per di più ti insulta, perché sei in ritardo ad un qualche appuntamento, che non ti sei mai sognato di prendere. Non sei ma così sbronzo. Soprattutto quando per te il sole è tramontato giusto da un'ora ed hai trovato la forza di addormentarti dopo aver vomitato pure l'anima, annegata nell'alcol... Si è proprio seccante. Gliel'ho urlato con tutta la forza della mia piccata indignazione, con tutta la frustrazione della mia mente disciolta, annacquata dai fumi della sbronza non ancora smaltita... Se poi quello stronzo mi richiama e torna ad insultarmi, convinto di aver fatto il numero giusto... beh, allora sì, mi convinco che è proprio una giornata di merda, che qualcosa o qualcuno sta tessendo trame oscure contro di me, per non farmi dormire o, peggio ancora, per spingermi a qualche gesto esasperato, come alzarmi, fare colazione ed andare a lavorare.

Ci sarebbe proprio da incazzarsi, sino al punto di ammazzare il telefono, schiantandolo sul muro, strozzando la cornetta o, gesto più cruento, decapitando il filo.

Non che ce ne siano tante di mattine come queste, ma di tanto in tanto, qualcuna ne capita. Allora l'unica cosa da fare sarebbe riaddormentarsi, cercare di non pensarci, mentre aspetti che sorga un'altra alba, un nuovo sole e un nuovo giorno... Ma si sa il buon senso non mi appartiene, proprio non è da me. Così, ogni volta, mi alzo e compio quel gesto, proprio l'unico che bisognerebbe non fare, corro al cesso, svuoto la vescica, faccio colazione e prendo definitivamente contatto con la realtà... Brrrr....

È proprio girandomi allo specchio, in quell'immagine riflessa di uomo decadente, gli occhi cerchiati, il viso stravolto, che dovrei capire, che proprio non è il caso di insistere... Che me ne dovrei, inevitabilmente, tornare a letto, ma io sono sordo e cieco, oltre che stupido, allora faccio la doccia, mi vesto, la testa che mi scoppia ed urla di dolore, annego la mia disperazione nel caffé e vado a lavorare. Ogni volta è così. Tutte le volte. Poi quando la giornata giunge al termine, non faccio che ripetermi che sono un testone, un dannato asino cocciuto, che o cambio stile di vita o cambio lavoro mettendomi a fare il disoccupato organizzato. O magari raccolgo tutti i segnali che la vita mi lancia, cercando di fare l'unica cosa sensata in giornate come questa... Tornare a letto.

È così che cominciano i sensi di colpa. Quelli che quasi mi spingono ad una crisi mistica, quando comincio a pensare che dovrei dare un senso alla mia vita, quando comincio a domandarmi il senso di fare sesso senza senso, come se fosse masturbarsi... Solo l'inizio, prima di domandarmi il significato dell'alba, come quello del tramonto... Poi guardo le stelle e finisco col chiedermi se non esistono solo per offrire uno spunto, un qualche fondamento al romanticismo idiota del carabiniere che le manette pronte, guarda una donna negli occhi e le dice: «ma tuo padre faceva il ladro?» e lei come a sposare l'idiozia del momento, gli chiede: «Perché?» e lui «Perché ha rubato due stelle per mettertele negli occhi... ». E clang, scattano le manette per il padre ignaro... Possibile, questo mi chiedo che ci sia ancora tanta stupidità nel confessare così un furto, facendo sfoggio disinvolto della refurtiva?

Sono proprio i sensi di colpa, insieme con i rimpianti, che mi spingono a bere ancora, così giusto per dimenticare che a casa ad aspettarmi c'è una donna col suo metro ed ottanta di corpo che non chiede altro che il mio sesso e che aspetta il sabato come se fosse la notte dei miracoli... Quando tutto, anche l'impossibile, diventa possibile. Già realtà. Magia... il sesso alla frutta diventa macedonia, quindi estasi, puro orgasmo di dolcezza, poesia, sogno, romanticismo... un po' feticista e un po' voyeur... Come se il kamasutra dovesse essere ogni volta aggiornato, se non addirittura riscritto... È per questo che bevo, per trovare ogni volta l'alibi giusto a quel sesso affamato, un lupo arrabbiato che non sa dire di no, che proprio non riesce a dimenticare la sua complementarietà con quello dell'altra. Ogni volta devo bere un po' di più, perché ogni volta è già più vicino il declino del tramonto, il momento del silenzio, quando l'ululato alla luna sarà solo un ricordo sbiadito, un momento vissuto e già dimenticato.

Mi sono spinto già troppo aventi col mio racconto, anche se non troppo, quindi frizione abbassata, retromarcia inserita, un rapido sguardo allo specchietto, il piede si alza lentamente, il movimento pesante della macchina già in moto. Indietro, ruota dopo ruota, a ricostruire la giornata campale... O campestre... fate un po' come cazzo volete, chi se ne frega!

Ho già detto, che è stato il cicalare, per nulla discreto, del telefono a destare la mia coscienza, a risvegliare gli appetiti, a sottopormi al rito consumato dell'alzabandiera. È sempre così, quando mi sveglio e devo districarmi dal groviglio di braccia e coperte, da quel metro e ottanta di gambe, sesso e seni, che non si sa perché, forse per vocazione da termocoperta, finisce, ogni volta, col soffocare e strozzare il mio metro e settanta di ossa e carne, col sudore a fare da contorno.

Preparo il caffé, lo sorseggio con avidità, da subito precipitando nel pensiero sul perché ci sono sempre quelli più fortunati di me, dotati di un sonno sordo, addirittura cieco, al punto di non sentire la sveglia, così che tocca sempre a me alzarmi per primo, costringendomi al rito consumato della ginnastica del sollevatore di pesi... Anche questo mi chiedo, possibile che non sia mai io quello a cui viene servita la colazione a letto? La solita domanda oziosa, quanto inutile, tanto, prima o poi, anche i miracoli si compiono... Continuando a cercare e cambiando, di continuo, letto e coperte, può capitare di tutto, anche trovare le risposte che cerchi... Ma adesso è meglio non pensarci.

Il telefono squilla ancora. Questa volta gli insulti trovano l'indirizzo giusto e tra l'altro partono anche dal mittente buono, anche se incazzato nero. A nulla vale il mio buongiorno, si vede non è una bella giornata, piove a dirotto, il sole è coperto ed io comincio a rimpiangere l'omicidio mancato, quello del telefono... Ho le scatole piene, mentre la vescica continua a scoppiare... È in questi momenti, che mi chiedo a che cazzo serve lavorare, solo per guadagnare? Già, si lavora per i soldi, anche se ora ne sono convinto. Io lavoro per filantropia, per il gusto di fare tante buone azioni, come salvare dal fallimento i miei fornitori, così come risparmiare al figlio che non ho, grazie proprio alle cose che non sciupo, i miei soldi, la fortuna di un padre e una vita da papero. Sono proprio questi i pensieri che rischiarano il giorno, mi restituiscono il sorriso e fanno brillare la mia aureola da piccolo angelo.

Non ho nulla contro i vecchi, anzi li adoro, soprattutto quando non sono costretto a conversare con una di quelle tremolanti reliquie e posso contemplarli a distanza... anche con un pizzico di invidia se mi consentite... Poi la mia adorazione sa crescere e diventare venerazione se non sono costretto a guardare quelle fatiscenti creature biascicare il cibo con le gengive, gocciolare saliva e bocconi rimasticati (si fa per dire) sui menti pelosi e bitorzoluti... Brrrr....

Comunque ho già detto che sono un filantropo e, come tutti i filantropi, nutro un segreto e profondo disgusto per l'umanità... Soprattutto con quella parte di essa, abbondantemente negli "anta", terribilmente e decisamente vicina agli "ento"... Quella mattina doveva proprio accadermi di tutto, questo l'avevo già capito... Del resto, il buongiorno si vede dal mattino e il mio non era stato certo allegro. Incontro così un vecchietto, un caro vecchietto, con la sua piccola auto tremolante e sconquassata, che guida a trenta chilometri all'ora (a me sembravano anche meno) e decide di farlo su una strada dove ne sono permessi almeno novanta e decide di farlo proprio davanti alla mia macchina, proprio quando sono già in ritardo e mi sono già conquistato la mia buona dose di insulti quotidiani... Anzi sono in overdose, mi sono beccato anche quelli di qualcun altro. Accidenti a lui.

Come posso allora reprimere la mia filantropia? Come posso non lasciarla esplodere nella domanda, giusta credo, sul perché non li tolgono dalla strada questi bastardi decrepiti? È proprio una giornata di merda... Se poi si ha fretta di prelevare un po' di soldi dal conto e si ha davanti a sé una vecchia befana, che incassa la pensione, facendosi mettere i soldi dal cassiere in tante buste con scritto: "Affitto", "luce", "salumiere" e così via... Quando poi quelle buste sembrano non dover finire mai, come faccio a non chiedermi il perché non trapassa nel sonno e si risparmia la fatica? Se poi mi afferra il pensiero che un giorno, anch'io sarò vecchio e decrepito, allora raggiungo la certezza assoluta di essere caduto in una giornata di merda, quella stagionata, abbandonata sotto un sole cocente e fetente per giorni e giorni... Se così non fosse avrei pensato, piuttosto di poter essere fortunato e di non arrivare affatto agli "anta".

Da subito ho avvertito delle fitte di dolore all'addome. Giusto a rallegrare la giornata. Giusto a ricordarmi che un metro e ottanta di gambe, sesso e seni, oltre ad esser quanto mai attraenti e sexy, sono anche pesanti, soprattutto quando ti comprimono lo stomaco ed hanno un sonno sordo e cieco, oltre che quanto mai agitato e movimentato. Meglio fare un salto al Pronto Soccorso, lasciarsi visitare. Telefono e dico che ritardo ancora. Mi guadagno, senza troppa fatica, un'altra buona dose di insulti. Comincio ad essere stanco ed incazzato. Sfido chiunque a non esserlo al mio posto. Questo mi consola. Mi rende più facile il non bestemmiare. Mal comune mezzo gaudio, questo penso. La giornata va avanti, ma almeno ha smesso di piovere. Grazie.

Gli ospedali, si sa, sono un po' come gli aereoporti, quando al ceck in, all'ospedale è il ceck up, per rassicurarti sulla solidità dell'aereo su cui volerai, ti chiedono se vuoi stipulare una polizza di assicurazione in caso di morte, sorprendendosi poi, se lasci tutto alla compagnia aerea... Certo nella speranza che di aerei ne comprino di nuovi... Almeno così non muori invano. All'ospedale è più o meno la stessa cosa. Un'infermiera volenterosa, ti fa un primo esame, così giusto per controllare se deve mandarti prima il medico o il becchino. Non appena ha constatato che testa e membra sono ancora attaccate al tronco, propende per il medico e mi dice di sedermi lì e, soprattutto, di aspettare. Sembra, di questo ne ho avuto conferma, che il becchino arrivi prima. Io il medico l'ho aspettato per delle ore, anche se so di qualcuno che ancora lo aspetta. Alla fine, il medico è arrivato accompagnato dai suoi occhialioni tondi, il camice bianco e l'aria annoiata...
«Che infortunio abbiamo avuto?»
«Penso che siamo stati presi a calci e pugni un po' dappertutto...»
Così lui ci ha portato in una stanza per visitarci, ci siamo tolti i pantaloni e la camicia. Tossiamo a sinistra e a destra, rispettando la par condicio. Mentre dita fredde si conficcano quì e là. Poi ci siamo sdraiati su di un gelido tavolo di acciao e siamo stati esaminati un altro po'. Ogni tanto dicevamo ahi. Alla fine abbiamo fatto i raggi e ne è venuto fuori che avevamo un po' di costole incrinate. Abbiamo indossato un busto, un arnese strano che sembra il figlio naturale e legittimo di un'imbracatura e di un cinto erniario. Ci siamo rivestiti. Ho pagato il conto. Ecco dov'era l'inghippo. La visita era per noi, ma chi pagava ero io.

Il lavoro è solo un breve intervallo, piacevole, quanto vuoi, ma pur sempre una parentesi. Una piccola parentesi, dove monto un armadio al contrario, li disegno di spalle, senza indovinare una sola prospettiva. Se poi penso che all'intervallo seguirà la notte, dove ad aspettarmi c'è una specie di belva sado-maso, troppo grande per il mio corpicino da artista, compreso il busto. Se a questo aggiungo che è sabato e la belva è affamata. C'è quanto basta per sperare che il tempo arresti la sua corsa. Sono questi pensieri che rendono il lavoro piacevole, anche quando ha smesso di piovere, per riprendere giusto quando devo scaricare i mobili da consegnare e non so come coprirmi. Lo rendono piacevole persino, se dove devo consegnare i mobili non c'è l'ascensore ed il cliente è all'ultimo piano. Ma si sa ci sono preghiere che sono esaudite ed altre che proprio non sono neanche ascoltate. La giornata di lavoro finisce e comincia la notte... una lunga notte... è già un incubo.

È mentre guido per tornare a casa, che comincio a sperare che si sia dimenticata che oggi è sabato. Una speranza vana, come quella di aver fatto il pieno stamattina, così rimango a secco e sono costretto a fare l'autostop, sotto una pioggia scrosciante. Inclemente. Qualcuno dopo un po', un paio d'ore circa, raccoglie il pulcino bagnato che sono diventato. Mi dà un passaggio, è una mia vecchia fiamma con la sua Topolino e, come ogni brava tassista che si rispetti, fa scattare il tassametro ed esige il pagamento della corsa. Si ferma in un boschetto appartato. Reclina i seggiolini. Non sapevo che fossero ribaltabili. Fa esplodere i suoi seni prorompenti e prosperosi insieme ad un reggiseno troppo piccolo per contenerli, mentre mi spoglia, lacerando l'arnese in cui boccheggio, mentre mi afferra le mani e se le porta sui seni, giusto per strizzarli... Poi mi dice:« Ma che fai? Dai... non fare così... su calmati... lo sai sono una ragazza seria io...». Lo dice mentre mi sfila i pantaloni ed afferra il mio sesso sgomento ed atterrito... Le mie costole lanciano urla disperate di dolore lancinante ad ogni assalto, accompagnandosi a quelle di lei sulla vetta dell'orgasmo. Finalmente tutto sembra sopirsi. L'aria diventa stretta. Si riveste, riparte e mi lascia sotto casa, dandomi del porco. È proprio vero. Nella vita ci vuole una gran pazienza... Ma io credo di averla già abondantemente persa e a dirla con franchezza mi sono già rotto le palle... Mi giro e la mando a ffanculo la troia, peccato è già lontana.

Sento il rumore dell'acqua scrosciare lungo la doccia. Una voce suadente, simile a quella di un orco, che mi chiede: «amore... lo sai oggi che giorno è?». Rassegnato, rispondo: «no... amore... non lo so...». Lo dico mentre torna e riaffiora l'idea di dare il mio sesso al gabinetto... e lei «è sabato, amore!»

Eh sì amore... amore è sabato... questo mentre penso e vorrei urlare... Ma che senso ha fare sesso senza senso?

Berto Bastone
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